SPOTLIGHT ON: Marco Frascarolo

«Per noi il metaverso non è qualcosa di filosofico, ma l’opportunità di lavorare con i mezzi che siamo in grado di utilizzare nei progetti reali, per progetti che si fermano ai campi virtuali.»

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«Per noi il metaverso non è qualcosa di filosofico, ma l’opportunità di lavorare con i mezzi che siamo in grado di utilizzare nei progetti reali, per progetti che si fermano ai campi virtuali. Parlo per esempio del gaming, dei cartoni animati o degli effetti speciali nei film, nei quali la luce è l’elemento chiave.»

Marco Frascarolo è una delle figure più autorevoli nel campo della formazione nell’ambito dell’illuminotecnica. È fondatore dello studio FABERtechnica, che dal 2001 realizza progetti di lighting ed engineering di fama internazionale, dalla Cappella Sistina alle Olimpiadi di Tokyo e di Rio, per fare degli esempi. Coordina la didattica e insegna al Master in Lighting Design Università “La Sapienza”, il primo master in Italia specializzato in illuminotecnica, di cui A.A.G. Stucchi è felicemente partner, il quale in oltre vent’anni di storia ha formato numerosi studenti e offerto la possibilità di fare esperienze professionali concrete sul campo. È proprio su questi aspetti che si è concentrato il secondo appuntamento con la nostra rubrica SPOTLIGHT ON.

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Quanto è cambiato il panorama italiano nell’ambito dell’illuminotecnica da quando ha fondato FABERtechnica?

Il settore della progettazione della luce è un settore abbastanza controverso, nel senso che se ne parla molto, però non c’è ancora una grande consapevolezza dell’esigenza di questa figura professionale e anche delle modalità in cui deve operare. Quindi rispetto a ventidue anni fa, quando ho fondato il mio studio, direi che il mercato è cambiato, ma non troppo. Ci sono delle realtà che hanno avuto una grossa evoluzione e si sono aperte a una serie di stimoli e modalità di lavoro che arrivano spesso anche a livello internazionale e molti che continuano a lavorare in una chiave un po’ italiana di piccoli studi con metodologie classiche, quindi direi che ci sono proprio due marce diverse.

Cosa suggerirebbe a dei giovani professionisti che nel 2023 intendono intraprendere un percorso analogo?

Per chi volesse lavorare in questo settore direi che è fondamentale innanzitutto farsi una base, quindi studiare in scuole specializzate e fortemente legate al mondo pratico lavorativo e che non siano troppo teoriche e poi il consiglio è di non tralasciare la parte tecnica di questo lavoro e quella più artistica trasversale.

Come si è evoluto nel corso degli anni il Master in Lighting Design presso l’Università La Sapienza di cui lei è coordinatore e docente?

Il master in Lighting design della Sapienza che ha appunto vent’anni nasce come primo master in Italia e negli anni abbiamo cercato di dare una continuità rispetto alla metodologia anche ai docenti. Quindi da una parte abbiamo rinforzato con un accordo con l’Università di Roma Tre che dispone di un laboratorio strumentale con una dark room con una serie di attrezzature, dall’altra abbiamo inserito una serie di nuove modalità di lavorare come il BIM piuttosto che la fotogrammetria per costruire i modelli in 3D. Ogni anno c’è una piccola miglioria o novità che fa fare un passo in avanti al master.

Quali saranno i punti salienti dell’edizione di quest’anno?

Questo è un anno di transizione in preparazione all’edizione del 2024 in cui stiamo puntando a incrementare la parte che si rivolge al multimediale e al metaverso, usando un termine molto di moda. Per noi il metaverso non è qualcosa di filosofico, ma significa lavorare con i mezzi che siamo in grado di utilizzare nei progetti reali, per progetti che si fermano su campi virtuali. Parlo per esempio del gaming, dei cartoni animati o degli effetti speciali nei film, nei quali la luce è l’elemento chiave, per cui noi stiamo facendo in modo che persone che masticano bene questo tema della luce, sappiano indirizzarlo su queste applicazioni, piuttosto che su quelle più tradizionali nell’architettura, per i beni culturali etc. In particolare per i Beni Culturali, l’ampliamento con il cosiddetto storytelling, la realtà aumentata etc. sono campi di lavoro oggi molto richiesti e molto interessanti, perché spesso si chiede non solo di valorizzare un’opera ma anche di sovrapporre dei layer conoscitivi e narrativi diversi.

Quali opportunità offre la sinergia tra la formazione in ambito accademico e l’esperienza di progettazione sul campo?

Secondo me è proprio il punto chiave. Unire la formazione fatta in maniera seria, solida, partendo dai fondamenti come si faceva Trent’anni fa, fino ad arrivare sul campo, secondo me è quello che fa la differenza tra una scuola e un’altra. Avere la possibilità di lavorare sul territorio è fondamentale, su questo essere a Roma ci aiuta molto, perché nell’ambito dei Beni Culturali è una realtà unica al mondo. Negli ultimi anni abbiamo consentito ai ragazzi e anche a noi stessi per crescere e avere stimoli, di lavorare molto sul territorio. Recentemente abbiamo concluso un accordo con Roma Capitale e poi con Areti, società del gruppo Acea, per lavorare sulla qualità della luce su Roma e quindi gli studenti sono stati inseriti in questi lavori sul territorio. Per cui uno studente che ha studiato al Master di Roma e ha potuto lavorare sul Colosseo, sulla Cappella Sistina, sulle Mura Aureliane, i Mercati di Traiano, sicuramente è un valore aggiunto rispetto ad altri master e quindi è anche una fiches che possono mettere per proporsi sul mondo del lavoro importante.

Guardando all’estero, ci sono delle esperienze o delle realtà nell’ambito della formazione a cui lei guarda con entusiasmo?

Esistono varie realtà. Stranamente il mondo francese che ha una forte tradizione a livello pratico e progettuale, a livello di scuole forse è meno presente. Quelle del mondo anglosassone sono quelle a cui guardiamo di più, una tra tutte è la Parsons School of Design di New York che è una scuola molto blasonata con grandissime relazioni col mondo del lavoro e quindi grandi opportunità per i ragazzi. Se andiamo a vedere poi i programmi e quello che fanno, devo dire che le scuole serie più o meno sono simili rispetto alla didattica. Tornando al discorso di prima, l’elemento fondamentale è la possibilità che danno di esperienze pratiche. Ci sono una serie di scuole anche nuove, io ho avuto modo di collaborare e fare workshop e interventi per esempio a un master a San Pietroburgo, chiaramente sono molto interessanti perché sono scuole che nascono in contesti culturali diversi dove c’è la possibilità di lavorare sulla storia, sulla cultura e sull’architettura, in un ambiente complessivamente diverso. Per cui il consiglio forse che darei a uno studente, se ha la possibilità, è di fare più esperienze in ambiti culturali diversi per avere una visione più ampia e più aperta e meno chiusa su dei dogmi.

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