Cover photo: Alessandro Poli, CEO e Art Director Servomuto, photo © Sha Ribeiro
Specializzato in lighting design e configurato come una sorta di atelier di alta sartoria, Servomuto porta avanti il suo lavoro di sperimentazione con l’obiettivo di rivisitare un oggetto classico come il paralume con un allure contemporaneo, ricercato e frizzante.
Il percorso del suo fondatore, l’eclettico graphic designer Alessandro Poli, giocoso amante del design in tutte le sue forme, si snoda con il brand Servomuto alla ricerca di un linguaggio senza tempo, attraverso la creazione di lampade Made in Italy, molto curate nel dettaglio e affascinanti nelle loro lavorazioni antiche compiute da mani esperte: nobili materiali e pregiati tessuti vengono sapientemente accostati, sperimentando colori e texture anche inusuali. Il loro punto di forza è basato sulla creazione artigianale, appassionatamente “slow”, che rende unico ogni prodotto, in contrasto con la meccanizzazione dell’industria manifatturiera di larga scala. Il risultato è molto più di una lampada: un oggetto “fatto a mano” autentico, 100% italiano.
Servomuto è un nome curioso, che ha un logo – un’enigmatica maschera senza bocca – altrettanto particolare. Questa scelta indica come ti piaccia giocare con i contrasti nel mondo del design. Perché hai scelto di dedicarti a prodotti d’illuminazione?
«Ho vissuto in case in cui i paralumi sono sempre stati presenti; oggetti che, ai miei occhi, assolvevano la funzione di attenuare e diffondere la luce ma anche quella, quasi magica, di creare un’atmosfera morbida, ombre, sfumature che trasformavano le stanze: questo mi ha sempre affascinato, per questo motivo ho pensato di dedicarmi all’illuminazione. Servomuto è nato, appunto, con l’idea ambiziosa di rivisitare il concetto del paralume in una chiave contemporanea e sofisticata, con un approccio quasi sartoriale dovuto alla scelta di creare unicamente oggetti artigianali confezionati interamente a mano. Contrasti, giochi di parole, divertimento e, a volte, anche il caos sono elementi che fanno parte del mio DNA e che rifletto nel lavoro».
Quali sono i tuoi bacini di idee, da cui attingi?
«Per formazione, sono un graphic designer laureato allo I.E.D. di Milano, sono sempre stato attratto dai colori, dagli accostamenti, dal mondo dei pattern; inoltre, sono anche un esperto conoscitore dello streetwear degli anni ’70 e ’80, un appassionato di tendenze e avanguardie nella moda ma anche nel design, ultimamente colleziono ceramiche degli anni ’70 firmate da grandi nomi del design italiano; questi interessi mi hanno portato a voler investigare la creazione di un oggetto che fondesse e sintetizzasse tutte queste sfaccettature della mia personalità».
Alla Milano Design Week 2024, hai aperto le porte dello studio con l’allestimento ‘In fondo al cortile a sinistra’ realizzato da Gaia Home Project, dove avete presentato le lampade Giardino Floor e Otto Table. Che esperienza è stata?
«Conosco l’interior designer Gaia Venuti da molti anni, come amica e professionista: abbiamo una visione affine su molte cose. Gaia è capace di donare fascino agli ambienti aggiungendo intimità e personalità. Le ho affidato il compito di trasformare, per l’occasione, lo studio di Servomuto in una casa singolare all’interno della quale le creazioni del brand riuscissero a convivere con oggetti accuratamente selezionati. Una casa che chiunque potesse abitare, piena di oggetti di design (e non solo) che, mescolati sapientemente, rendessero unico l’ambiente. È stata certamente una “convivenza” positiva e divertente».
La creatività ha o non ha gender? Ci sono oggetti femminili e creazioni maschili?
«Credo che le etichette siano un aspetto della vita cui difficilmente si può sfuggire, per quanto si cerchi di scappare dal conformismo, inevitabilmente ci si ritrova a creare un anti-conformismo cui nuovamente ci si conforma… Il genderless che nasce dal voler sfuggire al concetto di duplicità del genere, non è esso stesso una nuova forma di omologazione?
Personalmente, quando approccio il progetto di una nuova lampada, non penso mai a una collocazione ben precisa, non immagino un posto o altre cose in particolare… Le lampade di Servomuto sono pensate da persone per altre persone».
Qual è il vostro esempio per un design più sostenibile?
«Sin dall’inizio, non solo negli ultimi anni, Servomuto ha avuto un approccio antitetico rispetto alla produzione industriale fatta di grandi numeri; abbiamo scelto da subito di favorire un prodotto artigianale con un’elevata attenzione al dettaglio, che necessita di una lavorazione lenta e consapevole, uno slow-design che ha tutte le caratteristiche e i tempi del made to order. Si tratta di un sistema che limita la produzione di prodotti in eccesso rispetto alla domanda, un’attenzione che ha puntato da subito a ridurre numeri e quindi l’impatto sull’ecosistema. Credo che il concetto di sostenibilità nel design, come nella moda e in generale in ogni settore, si possa riassumere in una riduzione della produzione, un rallentamento dell’offerta a fronte di una strada più inclusiva: l’individuo è al centro del progetto».