La poliedrica attività di Nanda Vigo, divisa tra arte, architettura e design, costituisce un progetto di vita unitario, svolto con grande determinazione e passione nel solco della modernità europea, disegnando un percorso che l’ha portata a diventare un’icona della cultura milanese e non solo. Partecipe delle avanguardie del secondo dopoguerra, ha sviluppato fin da subito una ricerca progettuale personalissima, incentrata sulla pura sorgente luminosa, con una speciale sensibilità e consapevolezza dei rapporti spaziali, della trasparenza e dell’immaterialità.
Nanda Vigo, nata a Milano nel 1936, è un’architetta, designer e artista. Ha studiato presso il Politecnico di Losanna e ha lavorato nello studio di Frank Lloyd Wright. La sua carriera ha avuto inizio con esperienze a San Francisco e Milano, e nel 1959, all’età di ventitré anni, ha fondato il proprio studio nella città meneghina.
Il percorso personale di Nanda Vigo
Vigo comincia fin da subito a collaborare con i più importanti artisti e designer italiani del dopoguerra. Queste sinergie hanno dato vita a progetti unici e irripetibili, come la Casa Zero, la Casa Gialla, la Casa Blu e la Casa Nera. Queste residenze si caratterizzano per spazi aperti e liberi, per l’uso di materiali innovativi e approcci espressivi sperimentali.
Vigo qui utilizza la tecnologia per creare strutture luminose, dinamiche e riflettenti, modelli chiaramente derivanti dalla sua ricerca artistica che sembrano però tuttavia illuminare tridimensionalmente le opere bidimensionali di artisti come Lucio Fontana ed Enrico Castellani.
Gli interni della Casa sotto la Foglia a Malo, progettati da Gio Ponti e finanziati dal collezionista Giobatta Meneguzzo, rappresentano invece un ambiente “totale” in cui l’arte, l’architettura e il design si fondono in un’esperienza spaziale unica. Ceramiche in grès bianche, luci al neon e pellicce sintetiche grigie contribuiscono a creare spazi stranianti e avveniristici enfatizzati da un’accecante luce perimetrale e da una continuità spaziale.
Un altro esempio notevole della sua produzione artistica è l’Ambiente Spaziale Utopie, realizzato per la XIII Triennale. Questo ambiente riprende l’aspetto immersivo degli spazi bui senza utilizzare però forme scultoree, ma giocando sulla sola percezione tra le fonti luminose e le superfici curvilinee delle pareti. Questi progetti di interior design hanno seguito una linea parallela alla sua attività d’artista, espandendo così la sua ricerca spaziale e formale nell’ambito dell’architettura e delle arti visive.
Ad esempio, i Cronotopi, iniziati nel 1964, erano strutture tridimensionali che richiamavano la grammatica spaziale di Giuseppe Terragni e la sua propensione per catturare e riorganizzare la luce, evidenziando un chiaro interesse simile a quello degli artisti appartenenti al Movimento Azimuth e al Gruppo T.
Vigo: architetto e artista
Possiamo dunque dire che ci sono due Vigo. La prima è un artista appassionata, innamorata della luce e del colore, una devota dei grandi maestri, una frequentatrice di artisti, musei, libri e riviste. Una Vigo giovane, eternamente giovane, che si è formata a Taliesin West, per poi diventare allieva di maestri d’arte, frequentando Castellani e lavorando con Fontana.
In questo periodo Vigo è immaginifica, volitiva, vulcanica, dedita in somma parte al meraviglioso. Ama la luce e la tratta con l’attenzione di un artigiano e con l’invenzione d’un pittore. Questa prima Vigo è una scultrice d’immagini di luce, sognatrice e impetuosa, un passo sempre avanti con la felicità della fantasia.
Poi c’è una seconda Vigo: rigorosa, paziente, determinata, inflessibile, inamovibile. Un architetto-artista che concepisce lo spazio come un luogo di estensioni e intenzioni, un’allieva bizzarra dell’avanguardia europea. Minimalista, ma con il peso della materia illuminata dalla luce.
Una progettista di scuola Pontiana, sempre elegante e leggera, perché anche la seconda Vigo possiede, come la prima, la leggerezza di una nuvola. Ogni sua linea aspira a scomparire, e per farlo deve affondare nel mondo immateriale della luce, il suo ideale sarebbe quello di costruire nell’aria, di sospendere tutto per un attimo, un attimo che dura per sempre, usando come materia l’immaterialità della luce.