Night Light: come la luce ha reinventato il modo di ballare in discoteca

Uno degli aspetti generalmente più trascurati dell’esperienza del ballo, la luce è in realtà essenziale per la costruzione di un’esperienza indimenticabile.

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Cover photo: Bar. ‘Cool’ in Madrid, Spain (2001),dal libro Club Design by LINKS (2006)

C’è un’immagine che viene associata al mondo della notte, che è diventata un vero e proprio simbolo: la palla stroboscopica, meglio conosciuta come disco ball. Questo oggetto è stato utilizzato sin dall’inizio del ‘900 per illuminare i locali notturni del mondo occidentale, ben prima che i dancefloor e la musica disco si diffondessero come parte integrante della cultura contemporanea. 

Questo simbolo pone l’accento su un aspetto spesso trascurato dell’architettura e del design dei locali notturni: la luce e la sua progettazione all’interno dello spazio destinato al ballo. Sebbene si tratti di un tema meno popolare rispetto ad altri in questo settore, il light design è essenziale nel definire l’ambiente complessivo di un club, arricchendo notevolmente l’esperienza del dancefloor

Il lighting engineer, in questo senso, è una figura essenziale nel supporto dell’atmosfera che va a crearsi all’interno di una specifica serata: i colori, la frequenza delle luci, la sintonia con la musica che esce dal sound system

La musica dance ruota sempre attorno a delle pratiche collaborative. Un DJ, da solo, non rende una serata indimenticabile: c’è la musica che seleziona, ovviamente, ma l’ambiente in cui opera, lo spazio e come esso è organizzato gioca un ruolo fondamentale nella resa finale di un’esperienza singolare. Vivendo in una cultura prevalentemente visiva, ciò che vediamo e che non vediamo è essenziale per guidare le nostre emozioni e la nostra percezione di qualcosa che invece è invisibile: il suono

Luci psichedeliche e laser stroboscopici: le discoteche degli anni ‘60 agli anni ‘90

È possibile ripercorrere la storia del light design nei locali notturni seguendo la storia di questi ultimi. Il punto di inizio convenzionalmente considerato per tracciare una storia delle discoteche sono gli anni ’60. È in questo periodo che, anche in Italia, alcuni club iniziarono a sperimentare con l’illuminazione per costruire ambienti originali, come lo Space Electronic a Firenze – risultato di una ricerca portata avanti dal Gruppo 9999, protagonisti dell’architettura radicale italiana. 

Negli anni ’70 arriva il celeberrimo Studio 54 di New York, che diventa il principale locale serale a livello internazionale, segnando il passaggio del clubbing da fenomeno di nicchia a mainstream. Con gli arredi firmati dall’architetto Scott Romley, e dal designer d’interni Ron Doud, presentò un uso innovativo dell’illuminazione sulla pista da ballo. Questo locale, insieme al film Saturday Night Fever del 1979, costruirono l’idea di discoteca per come la conosciamo nell’immaginario collettivo. Un ambiente in cui la luce gioca un ruolo fondamentale, illuminando di luci prevalentemente calde i partecipanti.

1. Bill Bernstein, Studio 54 and Cadillac, 1979

Gli anni ’80 e ’90 rappresentano i decenni in cui i generi legati alla musica dance si evolvono nelle forme che conosciamo oggi. Nascono la techno, l’house e l’elettronica invade le classifiche della musica commerciale – è il periodo in cui nascono i cosiddetti “tormentoni”. Laser e luci stroboscopiche iniziano a venire utilizzate per creare effetti visivi sempre più completi e sincronizzati con il sound

Nel nuovo millennio vengono sviluppate le tecnologie che permettono al light design di evolversi nel modo in cui lo conosciamo oggi. L’uso di Led e di sistemi di controllo digitali ha aperto nuove possibilità di costruzione di scenografie luminose dinamiche e interattive.

Dalla Disco ai Rave: l’evoluzione del Night Light tra musica e design

Il lighting design delle piste da ballo si è evoluto di pari passo con la musica e con la progettazione dell’interior per costruire un’esperienza sempre più coinvolgente e polisensoriale. 

Inizialmente le luci colorate illuminavano la pista da ballo in maniera quasi totale, ma questa pratica è stata progressivamente messa in discussione con l’evoluzione dei generi. 

Volendo tracciare una linea generale, gli anni ’70 e ’80 sono stati il regno della disco e del funk: generi che, con le dovute eccezioni e sfumature, rappresentano musica gioiosa, celebrativa, sexy e festosa. L’illuminazione tendeva a seguire questa direzione: la pista era maggiormente illuminata rispetto a come siamo abituati oggi, i colori (soprattutto caldi) costruivano un’atmosfera giocosa. Questo era coerente con il fatto che in quel periodo, soprattutto a New York, i club diventavano piattaforme creative per gli artisti visivi, trasformandosi in gallerie vere e proprie. 

2. Sound Bar Nightclub in Chicago. Credit: YSK Institute, Tumblr

Con l’ascesa della stagione dei rave, a partire dalla fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ‘90, l’architettura che ospita questo tipo di esperienza cambia, riflettendo un passaggio fondamentale nella storia della musica dance, quello da esclusività a inclusività. Dalle location piccole e raccolte si passa a contesti post-industriali, capannoni e fabbriche dismesse che potevano ospitare una grande quantità di persone. L’illuminazione si è evoluta di conseguenza. Il light design, nella stagione dei rave, si è sviluppato in maniera più psichedelica, con luci stroboscopiche che la facevano da padrona, creando un forte contrasto con le tecnologie utilizzate e con l’ambiente circostante. 

Oggi, quello che potremmo definire come il club più conosciuto al mondo, il Berghain di Berlino, vive di un dualismo che viene raccontato anche tramite l’utilizzo delle luci; se al piano terra, il Berghain, viene prediletto un ambiente per lo più oscuro per musica cupa e martellante, al piano superiore il Panorama Bar presenta un’illuminazione più varia, che asseconda l’apertura del club, non stop tutti i week end per oltre 48 ore, di giorno e di notte. Sebbene l’oscurità rimanga sempre un elemento centrale ed è essenziale nella costruzione di un contrasto che valorizza la musica e l’esperienza “liberatoria” legata al ballo, in questa sala i colori trovano più spazio. Inoltre, per segnalare che la notte si è conclusa, e che si sta entrando dentro una nuova fase, dalle prime ore del mattino al Panorama Bar la luce artificiale viene spenta per lasciare spazio a quella naturale che filtra dalle finestre – cosa che non avviene al piano inferiore. 

3. Bar. ‘Cool’ in Madrid, Spain (2001), dal libro Bar Decors by Elsa Rocher (2002)

IDMX, Blinder e LED: le tecnologie che illuminano la night life oggi 

Oggi le tecnologie digitali permettono di controllare da remoto una quantità di input diversi che arricchiscono in maniera originale e imprevedibile l’esperienza notturna. Il cuore di ogni sistema di illuminazione è la consolle o lighting desk, computer complesso e specifico; volendo fare un paragone con l’attrezzatura sonora, risiede a metà tra un mixer e un sequencer, e viene utilizzato per mandare delle istruzioni ai dispositivi luminosi tramite un protocollo chiamato DMX, lo standard nell’industria

Durante i climax musicali, una delle luci più comuni è il cosiddetto Blinder, utilizzato per inondare la stanza di una luce intensa e calda. È dotato di un effetto di dissolvenza naturale, che aggiunge un tocco distintivo e segna il passaggio al tipo di illuminazione successiva in maniera liscia, senza far notare troppo lo stacco. 

Ci sono poi le varie lampade: a incandescenza, a scarica di gas e Led. Queste ultime oggi sono considerate uno standard, in quanto offrono una buona resa cromatica con un consumo ridotto. 

4. The Despacio: Powered by McIntosh sound system at Manchester International Festival, 2013 - ph. Rod Lewis

Il lighting engineer e il DJ: due pratiche necessarie

La pratica del light engineer è parallela a quella del DJ; come un DJ passa del tempo a selezionare la musica migliore prima di una serata, anche alle luci vengono date delle direzioni di massima prima che tutto inizi. Ma, così come il DJ deve saper cogliere l’umore del momento e adattare la musica preparata di conseguenza, le luci si devono saper muovere parallelamente, costruendo un dialogo con il suono che detti una sinestesia vibrante per chi sta dall’altra parte della barricata. Sebbene quindi sia necessaria una preparazione iniziale, l’illuminazione nei club è spesso gestita in maniera spontanea e largamente improvvisata

Il lighting design nei club è qualcosa che, se fatto male, le persone tendono a non notare, ma che se gestito in maniera sapiente può fare davvero la differenza nell’essere uno degli ingredienti di una ricetta che, quando ben preparata, può lasciare ricordi indelebili nella vita delle persone

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