Oggi l’integrazione di innovazione e tecnologia è una richiesta sempre più presente nel design di installazioni, spazi commerciali e urbani. La velocità con cui vengono rilasciati nuovi strumenti e dispositivi però rende spesso difficile definire il ruolo di chi ricerca e ne sperimenta le applicazioni. Uno degli studi che si occupa di questa tipologia di progetti è WOA Creative Company, con sede a Milano, un vero e proprio laboratorio che modella la luce attraverso strumenti tecnologici per creare, tra gli altri, esperienze immersive, installazioni artistiche, spazi commerciali e progetti di videomapping.
Abbiamo quindi chiesto a Davide Carioni – Creative Director e founder insieme a Giuliana Pajola, Executive Producer – di raccontarci nel dettaglio come opera WOA.
Guardando i vostri progetti, molto diversi tra loro, il fil rouge è senza dubbio la tecnologia. Qual è stato il percorso dello studio per arrivare fino ai lavori di oggi? E come si diventa Creative Technologist?
Ho una formazione da perito informatico poi ho frequentato la triennale a Brera in Progettazione Artistica per l’Impresa e successivamente la specialistica in Product Design al Politecnico di Milano. Inizialmente ho lavorato come Motion Graphic Designer e questo ruolo mi ha aiutato a capire cosa significa progettare in piccolo per poi vedere il risultato con una scala più grande, poi da freelance ho sperimentato nuove tecnologie come ologrammi e videomapping. Oltre al mio lavoro, ho sempre fatto graffiti e ripensandoci mi ha aiutato molto a lavorare con la scala: si parte da un’idea su un foglio da disegno e si realizza nel contesto urbano. La parte dell’informatica invece è tornata utile con il tempo. Dopo qualche anno, ho incontrato Giuliana Pajola che ha un profilo complementare al mio: in studio mi occupo della parte creativa e tecnica e lei di quella gestionale e manageriale. Nel 2015 decidiamo di avviare WOA come un vero e proprio laboratorio aperto alla contaminazione – il nostro spazio infatti ospita anche un coworking. Proprio per questo, quando abbiamo iniziato, creavamo contenuti per eventi e non avremmo mai pensato di arrivare ai progetti attuali. È stato naturale, ci siamo confrontati con i nostri colleghi e grazie alle capacità di ognuno (chi fa il VJ, chi è esperto di luci e chi di sound design) abbiamo iniziato a realizzare questi lavori.
Diciamo che avete iniziato dalla progettazione 2D sui monitor per arrivare poi al 3D dello spazio. Una vera e propria modellazione della luce nell’ambiente…
Si un’evoluzione che non è stata programmata e che forse non sarebbe avvenuta senza la formazione che ho avuto. Nel momento in cui abbiamo realizzato le prime installazioni e i primi spazi sono tornate molto utili le competenze da designer. Progettiamo sempre con la luce, ci giochiamo: per noi è la traslazione del monitor nello spazio, presenta una funzione scenografica ma comunica anche un messaggio o invita ad un’interazione o veicola un’informazione.
Nel panorama progettuale siete un caso raro. Non ci sono molti studi che si occupano di questi progetti e hanno le vostre competenze.
Siamo in una linea di confine strana perché abbiamo competenze creative e tecniche e si tratta di due mondi che di solito non parlano lo stesso linguaggio. In più operiamo in 3 settori: quello grafico-video, il mondo del design e quello della tecnica per eventi e installazioni. Un sottoinsieme che ci siamo ritagliati grazie alle nostre competenze trasversali. In questi progetti a volte c’è l’interazione ma manca la parte artistica o c’è il concept ma manca la capacità di realizzarlo. Cerchiamo di integrare tutti e tre i mondi e negli ultimi anni è stata la nostra forza: veniamo dal settore eventi che purtroppo ha visto un crollo nel biennio ‘20-‘21. In quel periodo lo studio ha lavorato su AR ed eventi digitali grazie alle diverse competenze in campo.
Da qualche anno lavoriamo anche con studi di architettura ed è un’attività che ci piace molto perché è una collaborazione sinergica, spesso c’è difficoltà ad integrare la componente tecnologica nello spazio: per esempio per Audi in Montenapoleone siamo stati chiamati dallo studio Marcel Wanders di Amsterdam per realizzare un tunnel immersivo interattivo in cui il digitale fosse integrato con il fisico. Diciamo che questi interventi sono una richiesta sempre più frequente da parte degli studi, ormai anche a livello urbano.
Dall’arte allo spazio, con la tecnologia realizzate sia progetti commerciali che artistici…
Si esatto, abbiamo due strade parallele e molto spesso le installazioni artistiche ci hanno dato visibilità con i brand che hanno capito le potenzialità del nostro lavoro. Allo stesso tempo non vogliamo dare questo enorme peso alla tecnologia: in quanto strumento è sempre utilizzato come tale, a volte ci piace smontare i dispositivi e usarli in maniera diversa, il messaggio rimane sempre l’aspetto più importante.