Cover photo: From outer Space, Iconic club. Scenography for the launch of the Iconic club at Le Pagliere, Firenze 2018. Ph. Tomas Stankiewicz Baldassarri
Guidato da Anna Paola Buonanno e Piergiorgio Italiano, lo studio di design milanese From outer Space (FOS) si occupa di progettazione e ricerca su scale diverse con l’obiettivo di stabilire nuovi livelli di conoscenza per comprendere la società contemporanea. Ad Atmosfera Mag hanno raccontato il proprio approccio progettuale e la loro visione della creatività, con focus sulla luce.
Progetti di interni, installazioni, allestimenti, ma anche eventi temporanei. Qual è il senso della luce nel progetto per lo studio From outer Space?
«Nel progetto di interni la luce è un elemento fondamentale che viene spesso relegato ad ultimo aspetto. Eppure, le atmosfere luminose, e la luce in generale, aiutano a sottolineare e definire uno spazio o, addirittura, a esplicitare determinate suggestioni che gli elementi “tangibili” non riescono a dare. Per esempio in Iconic club, la scenografia che abbiamo progettato per la festa di lancio di un club esclusivo ideato da Michele Lupi, l’apparato luminoso è parte integrante del progetto scenografico: non solo gli elementi luminosi lineari sottolineano il disegno della struttura metallica, ma al tempo stesso sono in grado di creare atmosfere diverse durante la serata. È stato interessante vedere come la percezione e l’uso di uno stesso spazio possa cambiare a seconda della quantità e tipologia di luce emessa».
Parlando di prodotto, quali sono le caratteristiche che guardate di più quando ne selezionate uno?
«Scegliere una fonte luminosa è, per noi, molto più semplice rispetto ad altri oggetti o arredi. In casa abbiamo moltissime lampade, alcune non ancora installate, perché nonostante ognuna abbia una specifica peculiarità riescono ad adattarsi a diversi spazi; a volte quasi ce ne dimentichiamo, però all’occorrenza accendiamo l’interruttore e lo spazio cambia immediatamente. Ci lasciamo affascinare dall’estetica e dai dettagli funzionali che la compongono; non valutiamo tanto la luce che produce ma piuttosto l’oggetto che la emana. Per quanto riguarda gli allestimenti, invece, ci interessa la presenza della luce nello spazio, il modo in cui lo modella o lo sottolinea, mentre il suo corpo tende a scomparire».
Pensando sempre ai prodotti ma ragionando con la scala dello spazio, come deve essere la luce per gli ambienti del futuro?
«Passiamo molto tempo al chiuso, circondati da fonti luminose artificiali, e l’esperienza del buio totale è ormai impossibile. Prima di dormire, l’ultima cosa che vediamo è un display luminoso e questo ci sta facendo perdere l’attenzione per tutte le sfumature proprie della luce naturale. Probabilmente – come molti designer stanno già facendo e come abbiamo avuto modo di riscontrare durante la progettazione della mostra Albe. Luci di Domani, curata da Matteo Pirola – il progetto dell’oggetto luminoso sarà sempre più virato sulla riproduzione della luce naturale, delle sue infinite varianti, e meno sul design dell’oggetto stesso. Immaginiamo, o forse speriamo, che gli spazi saranno illuminati da luci capaci di replicare i bagliori di tutti gli astri!».
Durante Euroluce 2023 From outer Space è stato chiamato per allestire la mostra ALBE. LUCI DI DOMANI / THE LIGHTS OF TOMORROW. Cosa significa esporre la luce? Quali sono state le sfide che avete incontrato e come le avete affrontate?
«Tra le nostre esperienze, quella di “esporre la luce” è stata la più stimolante e impegnativa. Se devi esporre un apparato luminoso, raccontarne la genesi, le forme, potresti anche fare a meno di indagarne le capacità illuminanti. Nel nostro caso, eravamo stati chiamati a esporre la luce e la sua assenza all’interno di uno spazio, quindi una parte importante del progetto ha riguardato lo studio dei materiali da utilizzare per l’allestimento, la loro capacità di rifrazione e il loro comportamento quando illuminati. Calibrare le diverse tonalità, la sequenza di luci e ombre è stato molto complicato e ci ha posto delle costrizioni, che sono diventate però i punti di forza del progetto stesso.
Anche la scelta dei colori ha avuto un ruolo rilevante: l’utilizzo di pannelli neri e bianchi è stato dettato dalla volontà di far emergere lo spettro che ciascuna opera in mostra emanava, senza manipolazioni.
La costruzione di una “scatola” completamente chiusa rispetto alla Fiera di Rho è stata fondamentale per controllare le diverse opere in mostra e isolarsi (anche acusticamente) rispetto alle altre realtà presenti ad Euroluce. All’interno, la struttura aveva una pianta spezzata e suddivisa in ambienti accesi da atmosfere differenti: la disarticolazione dello spazio permetteva alle diverse lampade di mostrarsi dapprima attraverso la loro aura e solo in un secondo momento tramite la fonte luminosa. All’esterno, invece, abbiamo giocato sulla possibilità di rifrangere la luce e assorbire il forte rumore luminoso che gli stand attorno alla mostra emanavano, attraverso l’utilizzo di una pittura cangiante sui pannelli in multistrato. Una strategia per animare il progetto grazie alla luce “passiva”, e in qualche modo cogliere il movimento frenetico dei giorni del Salone, in contrapposizione allo spazio calmo e buio che si trovava all’interno della mostra».