Specializzato in design industriale e lighting design, Angelo Sanzone si forma al Politecnico di Milano e nel 2016 fonda a Vittoria (RG) lo studio In Sensu. La sua visione e l’approccio progettuale rappresentano la sintesi di un percorso fortemente legato non solo alla tecnica e alla creatività ma soprattutto agli aspetti percettivi della visione e – come spiega lo stesso Sanzone – «alla fusione dei fenomeni luminosi con lo spazio ed il fruitore».
Come si è avvicinato al lighting design?
«Come gran parte dei grandi amori, anche quello per la luce nasce da una delusione precedente. Mi sono ritrovato nel 1996 a frequentare il corso di laurea in Disegno Industriale presso il Politecnico di Milano. Il primo anno propedeutico fu una vera delusione, se non per il corso sul colore di Jorrit Tornquist. L’anno successivo i 500 iscritti ebbero la possibilità di scegliere tra quattro indirizzi, uno di questi era “Luce”. Non esita a cambiare pensando che l’illuminotecnica mi avrebbe dato la possibilità di lavorare per il patrimonio artistico e non solo. Insomma, la luce fu l’opportunità di continuare la mia carriera universitaria. Nei successivi quattro anni accademici, ebbi la fortuna di incontrare i quattro pilastri della mia cultura politecnica: gli insegnamenti di illuminotecnica dell’ing. Mario Bonomo, la fenomenologia della visione del prof. Ruggero Pierantoni, la qualistica ed il design primario di Clino Trini Castelli e l’approccio all’energia comportamentale e al neo-nomadismo di Isao Hosoe».
Come è nato lo studio In Sensu?
«Per diversi anni, dopo la laurea nel 2003, ho esercitato la professione di consulente illuminotecnico per Targetti Sankey Spa e successivamente come libero professionista per studi di architettura, altre aziende di settore e distributori specialisti. Nel 2016, il testo della normativa UNI 11630:2016 Luce e illuminazione – Criteri per la stesura del progetto illuminotecnico divenne motivo di riflessione per un cambiamento necessario. “La progettazione illuminotecnica è da ritenersi un compendio tra arte e scienza capace di illuminare l’ambiente umano”. Questo concetto mi portò a prendere una direzione diversa dalla semplice consulenza illuminotecnica: il processo di progettazione, infatti, non si può fermare solo alla formulazione di un elaborato grafico, di calcoli numerici e di un elenco materiale, poiché una ricerca esclusivamente orientata all’individuazione di parametri quantitativi è in grado di definire le condizioni di luce necessarie al fine di evitare una cattiva illuminazione, ma non può indicare le condizioni per ottenere la migliore illuminazione possibile. Nacque l’idea di fondare uno studio che avesse un approccio diverso sulla materia luce. In Sensu, il nome dello studio, deriva dall’assioma peripatetico di Tommaso d’Aquino: «Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu» che significa «Nella mente non c’è niente che non sia già stato nei sensi». Volevo mettere in pratica i criteri di progettazione e ricerca acquisiti negli anni trascorsi a Milano».
Tra i progetti di luce dello studio si annoverano l’illuminazione della Cattedrale di Ragusa, il Santuario Maria SS di Chiaramonte Gulfi, la cupola della Basilica SS. Annunziata di Comiso: una spiccata sensibilità quindi per il costruito storico e le architetture religiose. È così? Qual è il suo approccio progettuale?
«Ho sempre provato particolare trasporto per gli edifici di culto, hanno promosso la cultura, l’arte e l’architettura per oltre due millenni. Anche in questo caso mi sento di dover ricorrere ad una citazione: “L’arte riproduce e ricrea quell’ordine fra le parti che sussiste nella realtà delle cose”. Questo scriveva Giulio Carlo Argan per sintetizzare il lavoro di Leon Battista Alberti.
Sta proprio nel concetto di ordine il mio approccio progettuale: il rispetto dell’architettura, l’analisi delle ombre oltre che della luce, la consapevolezza che la visione è uno dei sensi necessari per la corretta fruizione liturgica di questi ambienti, ovvero, la luce a servizio della liturgia, e la fruizione non liturgica che concepisce questi luoghi come contenitore di storia e opere d’arte. Questa tipologia di progetto illuminotecnico prevede anche la progettazione di corpi illuminanti specifici non per forza di produzione industriale ma disegnati ad hoc».
Recentemente la vediamo sempre più coinvolto in progetti di arte contemporanea. In occasione dell’ultima edizione del Festival Barocco & Neobarocco a Ragusa Ibla ha presentato Analogic Light. Ci parli di questa esperienza.
«L’approccio all’arte contemporanea basato sull’uso della luce come materiale nasce in concomitanza con lo studio In Sensu ed è insito nel testo della normativa citata prima. Ho sentito subito l’esigenza di raccontare, dapprima in maniera didattica e successivamente in modo empirico, il rapporto tra individuo, luogo e visione. Il primo lavoro fu l’esperienza sulla luce dello Shoji giapponese, una cultura opposta a quella glamour occidentale. Questa installazione, che ebbe una durata di circa sei mesi, venne allestita all’interno del mio studio a Modica. Ho dovuto aspettare il 2023 per poter concretizzare l’installazione sulla luce glamour “luce per un cantiere” ancora visitabile presso la Chiesa di Sant’Anna, sempre a Modica.
Lo scorso giugno sono stato invitato alla quarta edizione del Festival Barocco e Neobarocco a Ragusa, dove avrei dovuto allestire i bassi di un palazzo barocco che però era ancora un cantiere. Così, prima che l’intervento di riqualificazione per il riuso dello spazio venisse attuato, ho pensato di rendere fruibile il luogo al pubblico per “futura memoria” di ciò che era stato. La luce è la materia protagonista dell’installazione: un percorso obbligato di colore giallo, ha condotto i visitatori tra le varie stanze che tra intonaci malridotti e murature a sacco a faccia vista, hanno potuto apprezzare l’allestimento di alcuni oggetti neo-barocchi. La luce porta in sé colore e calore, in questo caso è piatta per far scrutare ogni dettaglio. Le aperture sfalsate per attraversare i vani sono state allargate con l’inganno scenico degli specchi».
Il rapporto tra luce e arte contemporanea rappresenta per lei quindi un nuovo percorso di ricerca? Che tipo di sviluppo vede nel futuro?
«Credo che l’arte abbia la capacità e possa dare la possibilità di creare esperienza. L’uomo, dal Quattrocento in poi, ha perso le dimensioni sensoriali riducendole allo spazio della visione. Il design primario e l’arte contemporanea hanno riportato l’individuo a fare esperienza coinvolgendo tutti i sensi, compresa la visione. La mia ricerca tende a creare una semantica della luce che possa descrivere ciò che non deve essere per forza calcolato. Penso che anche a livello industriale lo sviluppo di nuovi prodotti dovrà nascere da esigenze sempre più coerenti con l’esperienza e la cultura della luce; la produzione di massa di oggetti usa e getta diventa sempre più lontana dai miei obiettivi».