Cover foto: Kamilia Kard, A Rose by Any Other Name, 2021 installation view at Spazio Vitale, Verona 2024
Temi complessi come l’identità, la percezione, l’iperconnettività, la rappresentazione dei corpi sono alla base della riflessione artistica di Kamilia Kard. Creativa italo-ungherese, costruisce immagini che dialogano con la realtà e la espandono, anche attraverso l’uso dell’AI che per lei è «uno strumento per facilitare il processo di produzione» all’insegna di nuovi linguaggi espressivi che vanno oltre i confini tradizionali della pittura o della scultura.
Kamilia Kard approfondirà queste tematiche nel talk Architetture digitali per postumani, parte di Lumen, l’evento di Atmosfera Mag e A.A.G. Stucchi organizzato in occasione del Fuorisalone 2025 dedicato alla luce e alle sue interazioni con l’intelligenza artificiale, il design e la socialità. L’incontro si terrà il 10 aprile, dalle 18:00 alle 19:00. Le registrazioni sono ora aperte.
Come ti sei avvicinata ai media artistici non tradizionali? Quali strumenti usi per creare arte e perché ti hanno affascinata?
«Un percorso naturale, guidato dalla sperimentazione e dalla curiosità verso nuovi linguaggi. È un viaggio tuttora in corso, che mi porta a spaziare tra tecniche artistiche diverse, dalle più tradizionali alle più contemporanee e digitali. Se dovessi individuare un elemento chiave in questa transizione, direi che è stato il desiderio di coinvolgere attivamente lo spettatore nelle mie opere. Questo interesse mi ha spinta a esplorare formati interattivi come siti web, progetti collaborativi, filtri di realtà aumentata e ambienti virtuali.

In lavori di net art come Free Falling Bosch (2014) e My Love is so Religious (2015), il visitatore può navigare tra scenari e composizioni con un semplice clic; in Best Wall Cover (2012-2014) contribuisce a costruire un archivio online; in Loading Instructions (Mansplaining) (2021) diventa parte del lavoro stesso, interpretando un personaggio all’interno di un videogioco. Un altro aspetto che mi ha spinta verso le nuove tecnologie è il loro impatto sociologico: il modo in cui trasformano la società e, di conseguenza, l’arte. Per me, la ricerca tecnica e quella teorica sono strettamente connesse: la pratica artistica mi porta a interrogarmi su determinati fenomeni, e lo studio teorico apre nuove possibilità».

Quali temi affronti con la tua arte e da dove prendi ispirazione?
«La mia ricerca artistica esplora come l’iperconnettività e le nuove forme di comunicazione abbiano influenzato la percezione e la rappresentazione del corpo, e come siano diventate fondamentali nella nostra sfera affettiva ed emotiva quotidiana. Osservare il comportamento umano è sempre stato per me un interesse naturale, con particolare attenzione a ripetizioni, eccessi e insicurezze. L’enorme quantità di contenuti condivisi online – dai selfie agli aggiornamenti di status, dai link alle sessioni di gioco fino agli stati d’animo – mi offre l’opportunità di analizzare certe dinamiche su larga scala. Mi concentro soprattutto sui fenomeni che emergono in rete, cercando di comprenderne le ripercussioni e le interconnessioni con l’esperienza quotidiana».
Se dovessi sceglie tre lavori che ti rappresentano/particolarmente riusciti/molto importanti per la tua ricerca quali citeresti e perché?
«Tutti i miei lavori sono stati importanti per la mia ricerca perché scandiscono un percorso in tappe che mi ha portato ad oggi, segnando una crescita sia personale che artistica. Di conseguenza, vi parlerò degli ultimi tre lavori: Toxic Garden (2022-2024); HERbarium dancing for an AI (2023-ongoing); e A Love Story Like Many Others (2025-ongoing). Questi lavori intrecciano tematiche e riflessioni quali le relazioni interpersonali manifestatesi online, l’ibridazione umano-vegetale, lo studio delle emozioni, il ruolo e il corpo della donna e il movimento mediato dall’AI.
Toxic Garden è un’esperienza partecipativa online – basata su Roblox, un famoso metaverso frequentato principalmente da preadolescenti e adolescenti – che riflette sui comportamenti tossici nelle dinamiche relazionali e sociali. Il giardino diventa una metafora dello spazio digitale in cui interagiamo, un luogo apparentemente accogliente e affascinante, ma in cui si nascondono insidie e narrazioni distorte. Il concetto di tossicità è centrale: come alcune piante bellissime possono essere velenose, così certi atteggiamenti e dinamiche, pur sembrando innocui o seducenti, possono rivelarsi dannosi. In questo lavoro ho voluto esplorare come la comunicazione digitale amplifichi queste ambiguità e crei ambienti relazionali complessi, in cui il confine tra cura e manipolazione diventa sfumato. Nel metaverso da me creato, gli avatar degli utenti perdono la loro identità precostruita per assumere quella di una delle piante velenose presenti nel giardino, un avatar ibrido tra pianta e umano.
Piante velenose, sentimenti e concetto di interspecie ritornano in HERbarium dancing for an AI. In questo lavoro performativo, piante digitali – rese antropomorfe – danzano insieme a performer presenti in scena, in una coreografia interspecie elaborata con l’ausilio dell’AI. Infatti, per creare le animazioni digitali da applicare alle piante ho usato l’intelligenza artificiale: ho ripreso in forma video dei passi di danza di tre danzatrici, dopo di che ho fatto processare i video dall’AI, che di tutta risposta mi ha restituito dei movimenti corredati da una serie di errori, molte volte innaturali. Anziché correggere questi errori – come avevo fatto nel lavoro precedente Toxic Garden – ho chiesto alle danzatrici di imparare la nuova coreografia, cercando di interpretare anche i passi artificiali e disarticolati riportati dall’AI. In questa performance, l’errore dell’AI diventa una componente centrale del progetto, l’elemento coreografico e autoriale che muove sia le piante della proiezione che le danzatrici in scena, in una danza interspecie tra umano, vegetale e digitale. Posso dire, infatti, che questo progetto contiene diversi livelli di apprendimento: uomo-macchina, macchina-umano; umano-vegetale; vegetale-macchina, e tutti questi livelli si intrecciano in una serie di simulacri che si condizionano vicendevolmente, senza più avere la netta percezione di cosa sia arrivato prima.

HERbarium, come suggerisce il titolo, prende in esame il ruolo della donna. Il concetto del lavoro nasce dall’associazione secolare della donna come strega unita a quella più recente proposta dalla letteratura e dalla filmografia dall’AI concepita come donna. Da qui ne consegue che la donna è strega e, se l’AI è donna, allora l’AI è strega. Così ho immaginato questa tecno-strega che creava pozioni d’amore, di morte e di sogno con piante digitali e corpi umani. Il lavoro, infatti, si compone di tre capitoli, tre pozioni che sono appunto Love Potion, Death Potion e Dream Potion. Attualmente sto lavorando al capitolo finale del lavoro, che si chiamerà Psycho Potion.
La donna, l’amore e l’esperienza online ritornano nella serie di sculture A Love Story Like Many Others. Queste stampe 3D rappresentano dei busti di donna in dialogo con radici che, a volte, le avvolgono, altre volte le abbracciano, ma che in tutti i casi penetrano in profondità nella parte del cuore. Le esperienze sentimentali condivise online sono al centro dell’indagine di questo lavoro. In sostanza, A Love Story Like Many Others esplora le relazioni sentimentali, spesso percepite come uniche e irripetibili – nel bene e nel male – ma che in realtà seguono dinamiche ricorrenti, diventando veri e propri cliché del comportamento umano. Questo aspetto viene amplificato dai social network, dove esperienze amorose vengono condivise attraverso video, audio, screenshot di conversazioni e post ironici, in un mix tra autoironia e ricerca di una comunità che abbia vissuto situazioni simili. Quando un contenuto cattura il mood giusto, viene ricondiviso, reinterpretato o adattato dagli utenti, spesso tramite il lipsync o l’aggiunta di testi che sottolineano la familiarità dell’esperienza. In questo modo, la narrazione individuale si trasforma in un racconto collettivo, sempre più radicato nella nostra quotidianità. Partendo da queste osservazioni, ho scelto di modellare diversi torsi femminili per rappresentare la moltitudine di persone che vivono “la stessa storia d’amore cliché”. Le radici che avvolgono e imprigionano queste figure sono una traduzione visiva degli hashtag e delle parole chiave più diffuse in questi racconti digitali, reinterpretati attraverso metafore visive. Ogni scultura richiama fenomeni come il love bombing o il ghosting, temi ricorrenti nelle narrazioni social. La mia ricerca si concentra da sempre sul vissuto femminile. Sebbene anche molti uomini raccontino esperienze simili dalle loro prospettive, ho scelto di focalizzarmi sulla dimensione delle donne, mettendo al centro del mio lavoro la loro voce e il loro sentire. Queste sculture sono stampate con un particolare filamento che contiene uno dei primi pigmenti artificiali sintetizzato dall’uomo millenni fa: il blu egizio. Questo blu ha la caratteristica che se visto a raggi X emana una particolare fluorescenza, che dona luminosita e splendore a questi avvolgenti corpi femminil connettendoli tra di loro».

Utilizzi l’AI? Quali sono le possibilità di questo strumento in campo artistico?
«Sì, come detto utilizzo l’AI in campo artistico: la uso sia come strumento per facilitare il processo di produzione, sia come campo di indagine e riflessione di varia natura. Un esempio recente delle mie riflessioni sull’AI è A Rose by Any Other Name (2021), un’opera in cui esploro i limiti della capacità di lettura di un’AI attraverso la creazione di un modello 3D animato, reso interattivo su un sito web. Qui immagino un’intelligenza artificiale incapace di riconoscere forme ibride: rose che si muovono come piccoli pesci, con una texture simile alla pelle umana, tatuata con motivi girly, alcuni dei quali riportano la scritta “I’m a Daisy”. Questa sovrapposizione di forma, movimento, materiale e linguaggio genera una confusione ricettiva, rendendo difficile per l’AI classificare l’oggetto secondo i tag e i bias preimpostati. Il titolo richiama la famosa frase di Romeo e Giulietta di Shakespeare, suggerendo che il nome non cambia la natura di ciò che è, eppure, nel contesto del machine learning, la classificazione risulta fondamentale. Inoltre, in questa dimensione ambigua, a confondere ulteriormente le carte all’AI c’è l’aggiunta di comportamenti umani associati alle rose. Infatti, queste si scambiano gesti affettuosi, baci e tenerezze, in una sorta di coreografia che si ripete infinite volte. Danza, sentimenti, ibridazioni interspecie e riflessioni sull’AI sono presenti anche in questo lavoro».

Come immagini – o speri – sia il futuro del mondo artistico?
«Già adesso possiamo osservare come l’arte stia cambiando grazie all’integrazione delle tecnologie digitali (sia nella vita quotidiana che nei processi di creazione delle opere) e alla collaborazione tra discipline. Questa evoluzione non si limita alla semplice fruizione, ma si estende al processo creativo stesso. Artisti, ingegneri, scienziati e designer collaborano per sperimentare nuovi linguaggi espressivi che vanno oltre i confini tradizionali della pittura o della scultura. Queste sinergie interdisciplinari permettono di affrontare in una nuova prospettiva temi complessi, come l’identità, la percezione e l’interazione specie-macchina, creando opere che riflettono la nostra società iperconnessa e fluida».