La luce nel cinema è il segno di come questa macchina ancestrale intrecci sogni e realtà. È un’arte che trascende spazio e tempo per restituire profondità e tridimensionalità alle storie. La fotografia cinematografica accende la magia, crea l’atmosfera. Modella lo spazio e definisce il registro stilistico. I lighting designer e direttori della fotografia sono artigiani dell’invisibile: con il regista lavorano sui meccanismi di percezione dosando o rimodulando luci e ombre.
Ci sono film che ricordiamo e ricorderemo proprio per la luce. Per le scelte stilistiche, i contrasti o un registro cromatico così potente da consacrare quei titoli alla mitologia. Registi come Ridley Scott, Stanley Kubrick, Wong Kar-wai non sono solo dei narratori ma anche demiurghi di mondi da definire, illuminare, colorare. I film qui selezionati raccontano delle storie nelle storie, storie di fotografia cinematografica. Quali sono e perché vengono considerati così significativi?
“Blade Runner” e la luce psichedelica
Ridley Scott e il direttore della fotografia Jordan Cronenweth hanno plasmato la loro distopia cyberpunk grazie a un mix & match di luci: luci blu e morbide, luci glaciali e affilate, lampi intermittenti, backlighting che pongono i personaggi come cartamodelli su un universo sci-fi.
Il ricorso al neon, spesso in tonalità blu, viola e verdi, diventa il simbolo del sovraffollamento tecnologico: Los Angeles è una Black Mirror ante-litteram, dominata dalle pubblicità olografiche, dalle insegne, dalle scritte lampeggianti.
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La luce spesso è tagliata e sezionata attraverso superfici bagnate, vetri, nebbie e provoca un effetto di straniamento, quello della condizione dell’uomo sopraffatto dal progresso.
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“The Revenant” e la luce naturale
Revenant – Redivivo (The Revenant) di Alejandro González Iñárritu è qualcosa di unico: il messicano Emmanuel “Chivo” Lubezki, nominato all’Oscar per la Fotografia di questo film e di altri come Gravity o Birdman, ha utilizzato solo luce naturale, grazie anche alla scelta di camere digitali. L’incredibile storia di Hugh Glass, sopravvissuto all’attacco di un orso e a parecchi giorni in condizioni estreme nelle terre selvagge lungo il Missouri, doveva essere raccontata con un approccio “neorealista”.
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«Volevamo offrire al pubblico un’esperienza forte, viscerale, immersiva e naturalistica. […] Far percepire come se tutto stesse accadendo proprio davanti ai loro occhi. Volevamo che sentissero il freddo pungente, che vedessero le labbra violacee e il respiro degli attori sulla lente, oltre a vivere le potenti emozioni della storia» ha dichiarato Lubezki a Codex.
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La magia della luce a lume di candela di “Barry Lyndon”
La grande bellezza del period drama di Stanley Kubrick potrebbe lanciare la provocazione di guardare il film togliendo l’audio, per immergersi con più intensità nei tableaux perfetti di Kubrick, nell’atmosfera pastorale, nei quadri di luce naturale. Con il plus valore del lume di candela per raccontare i salotti aristocratici del XVIII secolo.
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L’illuminazione dorata dei candelabri, catturata da Kubrick e dal suo fidato direttore della fotografia John Alcott, dà un realismo inedito ai volti dei nobili, slanciando le espressioni ed evitando quell’effetto finto e pubblicitario che troviamo spesso nei film in costume.
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“Metropolis”, la luce visionaria del cinema espressionista
Manifesto dell’Espressionismo, Metropolis di Fritz Lang, un film del 1927 muto e in bianco e nero, sceglie il contrasto come chiave per trascinare gli spettatori in una visionarietà rivoluzionaria. La forza della deformazione, del parossismo, della luce portata all’estremo per cadere improvvisamente nel baratro del buio rappresentano i fondamentali di Metropolis e del movimento artistico sviluppatosi in Germania nei primi decenni del Novecento.
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Metropolis racconta la lotta di classe anche attraverso la luce: la mise-en-scène iper luminosa stride con le ombre dei personaggi, un espediente per raccontare visivamente la guerra della working class contro il sistema capitalistico. Attraverso la popolazione di allegorie e uno storytelling visivo, Metropolis esterna sensazioni come il disagio, la paura e l’orrore allargando e stringendo la percezione delle luci e delle ombre, manipolando le sorgenti abbaglianti e spingendo sull’oscurità delle ombre.
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“La La Land”, la luce tra sogno e realtà
Il cinema è lo specchio delle illusioni. Damien Chazelle con La La Land narra una storia d’amore destinata a durare solo nell’immaginario, perché la realtà è troppo prosaica e contaminata. La luce supporta l’universo del sogno, affidato al genere cinematografico del musical. Grazie al cinema si può entrare in un interludio colorato, idilliaco, spumeggiante rispetto alla banalità della vita.
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Il direttore della fotografia, lo svedese Linus Sandgren, ha preso in prestito i colori supersaturi, i riflettori direzionali e le transizioni luminose dai classici del musical, come Singing in the Rain e Les Parapluies de Cherbourg.
Il simbolismo gioca sulla differenza tra luci dorate e calde, tra il giallo e l’arancio, per i momenti d’amore, e quelle più algide e ghiacciate, blu e azzurre, per le incomprensioni e la separazione. Non passano inosservati neanche i momenti dominati dall’illuminazione teatrale, con uno spotlight, un fascio di luce direzionato, che punta dritto sui personaggi. Forse per enfatizzare l’anima metatestuale di La La Land: questa storia è un musical, è un sogno o è la vita?
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“In the Mood for Love”, se la luce è sentimento
L’estetica di questo masterpiece di Wong Kar-wai è uno dei motivi per considerare il cinema una via di sogni e salvezza. In In the Mood for Love le inquadrature prendono la forma di una costellazione di lampade dalla luce aranciata, che si inseriscono negli spazi di penombra per dare l’idea della profondità e del desiderio negato. La fotografia, di cui si sono occupati diversi direttori in successione, ricrea una Hong Kong soffocata dal minimalismo degli spazi, giocata tra atmosfere ambrate e tonalità di verdi e blu.
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Una non-storia d’amore che si consuma in un grembo oscuro, interrotto ogni tanto da un abat-jour che si accende o un lampione che rischiara la via. Ombre e bagliori sono dosati in modo maniacale, per comporre un quadro di languida malinconia.
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La capacità della luce di plasmare il Cinema
I grandi registi non perdono l’occasione di sfruttare la luce per costruire il loro microcosmo. Che sia una fotografia psichedelica come in Blade Runner, estrema e violenta come in Metropolis, geometrica e sentimentale come in In the Mood for Love o naturale come in Barry Lyndon e Revenant, è un booster per la narrativa, la simbologia, le emozioni, i conflitti. È nella capacità di innovare, anche grazie a un uso geniale della fotografia, che i cineasti trovano una chiave per consegnare il cinema al futuro come arte immortale.