Luce, suono e spazio: sono questi gli ingredienti base della ricerca di NonoTakami, il duo artistico composto dalla visual artist Noemi Schipfer e dall’architetto-musicista Takamiami Nakamoto. Uniti dal 2011, esplorano le possibilità dell’arte digitale e delle installazioni creando spazi onirici e immersivi in grado di “interferire” con le percezioni delle persone che li visitano. Le architetture effimere e l’arte cinetica sono solo due dei loro punti di riferimento e ispirazione, ma il loro lavoro trascende da qualsiasi cosa sia stata “già vista” per produrre qualcosa di originale, nato dalle loro menti e non frutto di un qualche tipo di rielaborazione. In un’intervista doppia abbiamo parlato del concetto di arte digitale, oggi messo in discussione dagli open software, di collaborazione e dei loro progetti futuri. Su tutti, tre lavori permanenti in Giappone.
Com’è nata l’idea di fondere la luce con la musica e che cosa volete comunicare con l’esperienza delle vostre installazioni?
Takamiami: Suono strumenti e faccio musica da quando ero bambino, dal pianoforte alla chitarra in gruppi musicali. Mentre studiavo architettura, la musica faceva ancora parte della mia vita e molti dei miei progetti durante la scuola ruotavano intorno all’idea di creare spazi che giocassero con la percezione visiva e uditiva di chi li visita. Dopo aver scoperto e sperimentato la stretta relazione tra spazio, suono e luce, mi sono reso conto che i miei lavori erano per lo più scultorei e più vicini a un’installazione artistica che a uno spazio da vivere. Questo perché mi ispiravano più i progetti di “padiglioni” (che per me sono una sorta di esperimento di scultura architettonica) che edifici veri e propri con una destinazione d’uso definita. Nel corso del viaggio, mi sono sentito in grado di esprimere pienamente me stesso attraverso un formato che mi sembrava ancora sconosciuto, ovvero l’installazione spaziale. Come NonoTakami, credo che ciò che cerchiamo di ottenere attraverso le nostre opere sia un completo distacco dalla realtà, non abbiamo un messaggio particolare, vogliamo semplicemente che le persone possano dimenticare il modo in cui sono abituate a percepire lo spazio, il suono e la luce nella loro vita quotidiana per scoprire nuove prospettive, ma anche sentire il potere di tutti questi tre elementi combinati insieme per creare un’esperienza che sia davvero immersiva. Desideriamo inoltre che i nostri lavori siano compresi da persone di tutte le età e soprattutto dai bambini, vogliamo che sia un’esperienza di pancia e che non servano cartelli esplicativi.
Noemi: Il mio background è più legato alle arti visive, amo disegnare fin da bambina e mi sono diplomata in una scuola d’arte a Parigi. Quando ho conosciuto Takami, lui suonava la chitarra in una band. Più tardi, quando si è laureato in architettura, abbiamo lavorato a un primo progetto insieme, un dipinto per un edificio nella capitale francese; ci siamo divertiti e abbiamo voluto portare avanti la nostra collaborazione, mescolando i nostri bagagli visivo, spaziale e sonoro. Il formato dell’installazione è stato abbastanza naturale per raggiungere questo obiettivo. Nel nostro lavoro tendiamo ad avere un contatto molto diretto con il pubblico. Vogliamo toccare le persone a prima vista. Le luci ci permettono di avere un impatto visivo molto forte e il suono trasmette le emozioni.
Dal 2011 a oggi c’è stato una notevole evoluzione della tecnologia: come sono cambiati i vostri lavori in questo senso?
Takamiami: Credo che la tecnologia si stia evolvendo in una direzione in cui i software sono sempre più versatili e fatti per gli utenti, non necessariamente per i professionisti. Mi sembra che siamo in un’epoca in cui gli strumenti digitali sono realizzati per trasformare un’idea in realtà sempre più velocemente, un fatto che fa incrinare il concetto stesso di arte digitale. Chi è un artista digitale e chi no? È l’artista che codifica i propri strumenti a poterlo affermare? L’artista che utilizza un software standard è pigro? Ci sembra che il pubblico non lo sappia più, mentre nel 2011 ci si avvicinava all’arte digitale come a qualcosa di estremamente tecnico e che richiedeva grandi conoscenze tecniche.
Naturalmente le nostre installazioni richiedono molto tempo per lo sviluppo e la programmazione, sforzi e tempi di produzione e molti computer portatili. Ma la tecnologia dovrebbe essere la giustificazione della nostra opera d’arte? Non credo. Ed è per questo che ritengo positivo che le idee possano prendere vita più velocemente, che i rendering possano essere realizzati rapidamente con una migliore potenza di calcolo, poiché questo permetterà alle persone di guardare all’arte e non alla tecnologia che c’è dietro. Si dovrebbe essere sensibili alla narrazione e alle sensazioni che un’opera d’arte trasmette piuttosto che ai suoi aspetti puramente tecnici. Credo che in questo caso l’estetica visiva e l’identità di un artista nel corso degli anni facciano la differenza, perché la tecnologia può evolversi ma l’estetica rimane fedele e questo, secondo me, è un aspetto importante. Il nostro lavoro si è evoluto mentre la tecnologia si è evoluta nella velocità con cui possiamo creare gli ambienti, il che ci dà più tempo per l’arte. Gli spettacoli dal vivo sono più facili e meno stressanti grazie alle migliori capacità informatiche, ma la nostra visione di fatto non è cambiata molto.
Noemi: Non mi sono mai interessata alla programmazione e non ho mai studiato i codici, quindi riuscendo a lavorarci ritengo anch’io che la tecnologia sia oggi più semplice e accessibile. C’è ad esempio un’enorme quantità di tutorial online, così è più facile per chiunque muoversi nell’ambito di quella che è considerata l’arte digitale. Diventa più facile usare gli strumenti, per questo ritengo sia fondamentale concentrarsi molto di più sull’aspetto artistico.
Come nascono le vostre installazioni: l’approccio è collaborativo o ognuno fa la sua parte?
Takamiami: Si tratta di un lavoro assolutamente collaborativo. Siamo un duo, discutiamo assieme di tutto, dal primo schizzo fino alla realizzazione.
Noemi: Fin dall’inizio abbiamo lavorato in simbiosi, ci siamo fusi l’uno con l’altro. Credo che una delle chiavi della nostra collaborazione sia che condividiamo gli stessi gusti e abbiamo una visione molto allineata di ciò che vogliamo creare.
Da cosa o da chi prendete ispirazione?
Takamiami: «Gli artisti di Optical Art degli anni ’60 come il GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuel) sono per me i padri fondatori dell’essenza del nostro lavoro. Il concetto di creare un’arte giocosa per gli occhi e basata solo sulla deformazione della percezione visiva del pubblico è qualcosa a cui sento di appartenere.Inoltre, la semplicità dell’architettura e dell’arte contemporanea giapponese di architetti come SANAA, Sou Fujimoto, Kengo Kuma, e di artisti come Yoshioka Tokujin, Ryoji Ikeda, è qualcosa in cui mi rispecchio molto».
Noemi: «Una grande fonte di ispirazione per il nostro lavoro è ovviamente la luce in generale, il modo in cui reagisce all’ambiente o le sue influenze sui diversi materiali. Anche lo spazio è una grande fonte di ispirazione per il nostro lavoro, di solito è il volume dello spazio a dettare ciò che vorremmo presentare. Anche le installazioni site specific costituiscono gran parte del nostro progetto. E se dovessi nominare uno dei miei artisti preferiti sarebbe Ryoji Ikeda».
Quali pensate siano i vostri lavori più riusciti e perché?
Takamiami: «È difficile scegliere. Credo che DAYDREAM sia una delle nostre installazioni più iconiche, ma SORA è stata vista da così tante persone per via della durata della mostra. Non so mai perché la gente preferisca un’installazione all’altra, perché ogni volta che ho la sensazione che un’installazione sarà compresa da molte persone, non è così. Sono sempre sorpreso dalle reazioni, quindi cerchiamo di non pensarci e di lavorare sempre senza pensare alla reazione del pubblico».
Noemi: «È difficile sceglierne una, ma anche secondo me DAYDREAM è un’icona del nostro lavoro. È una delle nostre prime realizzazioni e ci ha dato una grande direzione nell’estetica che volevamo sviluppare. Credo che le performance siano una parte importante del nostro successo, come quelle dal vivo dal vivo LATE SPECULATION e SHIRO. La musica ha un ruolo enorme nel nostro lavoro artistico. Avere un aspetto live e usare le nostre silhouette come parte dell’elemento visivo della nostra installazione ci dà molte opportunità di esprimere la nostra arte in contesti diversi e per pubblici diversi».
Su cosa state lavorando ora, quali sono i vostri progetti futuri?
Takamiami: «Stiamo lavorando a nuovi lavori effimeri, a nuovi spettacoli dal vivo e, soprattutto, a nuove installazioni permanenti, poiché questa è anche la direzione in cui ci stiamo evolvendo. Il Giappone ha un ruolo importante nel nostro futuro, abbiamo appena consegnato allo Shibuya Sakura Stage di Tokyo tra opere permanenti».
Noemi: «Credo che l’arte pubblica sia qualcosa che vogliamo sviluppare maggiormente in futuro. È davvero impegnativo, perché i vincoli sono maggiori rispetto alle opere temporanee, ma mi piace pensare di fare qualcosa che sia senza tempo e che interagisca nel tempo con una vasta gamma di persone diverse».