Immerso nell’inquietudine dei chiaroscuri, con le luci che lo accendono e spengono a intermittenza, In the Mood for Love, film del 2000 di Wong Kar-wai, utilizza (la mancanza di) illuminazione per raccontare un amore impossibile. Incredibile coevo del Millennium bug e dei trend Y2K, questo capolavoro si allontana dal proprio tempo per aprire un’estetica privata, che ricostruisce gli Anni ’60 a Hong Kong tra industrie in corsa, aspirazioni occidentali, telefoni che squillano, scale, cabine, uffici, corridoi, lampade, lampioni. Spazi che rilasciano impulsi di “luce in the mood for love” come un booster per l’immaginazione.
La storia racconta di un sentimento proibito, quello tra una segretaria e un giornalista che vivono in appartamenti adiacenti, costretti nella comunità di Shanghai a Hong Kong, un quartiere di monolocali o bilocali capsule, ad amarsi, letteralmente, all’ombra. Sono entrambi sposati, e integri. Sospettano che i rispettivi coniugi abbiano una relazione e da lì sviluppano un’amicizia strana che evolve in un surrogato di coppia inespressa.
La particolarità di questo film, premiato a Cannes e considerato universalmente un capolavoro, si traduce nell’atmosfera o, come dice il titolo, nel mood. Il prodigio di Wong Kar-wai è l’utilizzo dell’arte visiva per raccontare della signora Chan e di Chow Mo-wan attraverso gli spazi, gli oggetti, le lampade e il buio. In the Mood for Love è tornato nelle sale nel 2021 in versione restaurata in 4K.
La luce nel cinema di Wong Kar-wai, tra speranza, desiderio e passione
La luce e l’ombra in In the Mood for Love sono un film nel film. Prede dei desideri repressi, i protagonisti trovano compimento nei pertugi delle lampade, dei lampioni, delle insegne frammentate, delle luci artificiali che rendono la notte un’allucinazione sintetica. I volti sono illuminati con le anti-geometrie: fasci da sotto, da sopra, di sbieco. I mini-appartamenti attigui dove vivono la signora Chan e Chow Mo-wan, immersi nel fumo di sigarette e nel vapore dei noodles, si traducono in spazi rischiarati solo con lampade sixties gialline e retrò. Un po’ occidentali, un po’ orientali.
Ogni inquadratura del film è il tassello di un’estetica della nostalgia. La scelta del rosso e del giallo come colori principali delle scene, che tornano nei pattern dei cheongsam della signora Chan e dei complementi d’arredo, rappresenta la passione soffocata e la frustrazione che intaccano anche gli ambienti. Una sera li vediamo al ristorante, illuminati dalla luce puntuale di una lampada sospesa su di loro come una spada di Damocle. Un occhio super-partes che rivela ogni cosa: nuvole di fumo, ciglia che tremano, labbra socchiuse che neanche stasera si apriranno per parlare d’amore.
Wong Kar-wai affida alla luce di queste lampade la speranza del desiderio incompiuto. Abbiamo bisogno di qualcosa di più accecante, ma sappiamo che rimarremo in penombra.
Le ombre, dai vicoli della città a quelli dell’anima
Allo stesso modo, Wong Kar-wai ci porta in una scatola di ombre come state of mind, ci costringe a strizzare gli occhi per mettere a fuoco quello che si cela dietro l’oscurità dei vicoli, dei lunghi corridoi, degli angoli. La lunga sequenza buia che mostra i due recarsi, separatamente, al chiosco per prendere qualcosa da mangiare rivela la loro sostanza: quell’amore è scuro. Proprio come le loro ombre che si proiettano sulle scale di questo noir sentimentale.
L’ombra è una parte di questo film scomposto in continui tableaux. La non-coppia è vittima dell’oscurità del senso comune, delle convenzioni sociali, della loro stessa morale. Spesso spiati attraverso bordi netti che prendono la forma di porte, specchi, finestre, gli amanti immaginati ci guidano a guardarli con gli occhi con cui si scopre un’assenza. Il regista di tanto in tanto introduce una piccola lampada rustica, ma solo per tenere viva la possibilità.
Alla fine Wong Kar-wai accende una luce sul nostro scontento. Le fantasie, come i ricordi, evocano un mondo diluito che sembra più bello della realtà. Ma non c’è chiarore senza buio: la vita è fatta di realtà e speranze. Così come la nostalgia di qualcosa che non si è mai vissuto.