Raffaele De Vita: Italia-Australia solo andata

Una conversazione brillante con il progettista italiano fondatore dello studio internazionale Light it Design con sede a Sydney.

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«La luce è il pennello per dipingere sulla tela delle architetture» dichiara Raffaele De Vita, architetto e lighting designer. Nonostante la nota poetica della frase con cui si presenta dal suo sito web, De Vita ha un approccio pragmatico alla progettazione: buone pratiche, soluzioni sartoriali e attenzione al cliente sono i punti fermi di tutti i lavori del suo studio, Light it Design, realtà internazionale con sede a Sydney ma attiva in tutta l’Australia e in Asia. Il suo viaggio professionale parte dall’Italia, arriva nel Nuovissimo Continente e oggi continua ai quattro angoli del mondo, alla continua ricerca di nuovi progetti e, soprattutto, nuovi stimoli.

1. Fraser Properties

Qual è stato il tuo percorso e come ti sei avvicinato alla luce?

«Mi sono laureato in architettura all’Università degli Studi di Firenze nel 2008 con una tesi sull’illuminazione urbana della città di Venezia; poi ho frequentato un master in industrial design. Nel 2010, grazie a una borsa di studio, ho frequentato un master in lighting design all’Università La Sapienza di Roma. Uno dei professori, Marco Frascarolo di Fabertechnica, mi offrì un tirocinio nel suo studio, con cui ho collaborato per quasi tre anni. Ho avuto l’occasione di collaborare a grandi realizzazioni, perfino al lighting della Cappella Sistina. Questa esperienza mi ha fatto capire che la luce sarebbe stata parte fondamentale della mia vita professionale».

2. Raffaele De Vita

Come è nato lo studio Light it Design?

«Sono arrivato in Australia per amore, la prima volta nel 2009, e poi nel 2012 perché desideravo prendermi un anno sabbatico. Alla fine ho scelto di rimanere in pianta stabile a Sidney, è stato un salto nel buio perché all’epoca non padroneggiavo l’inglese e quindi, prima di riuscire a entrare in uno studio di lighting design, ho fatto molti altri lavori. Alla fine del 2016 ho deciso di staccarmi dalla società: avevo ben chiaro in mente il mio concetto di progettazione illuminotecnica, e ho sempre creduto fosse importante dare dei servizi accessori ai clienti, curare tutti i dettagli, assecondare le esigenze più varie, essere fisicamente sui cantieri. Ho fondato Light it Design e, dopo un po’ di rodaggio, hanno iniziato ad arrivare le grosse commesse. La prima fu quella per gli headquarter Google di Sydney, poi mi sono stati affidati quelli di Chanel e il progetto per la Heinemann Duty Free dell’aeroporto di Sydney. Fortunatamente la pandemia non ha rallentato i miei lavori, l’unica difficoltà è stata quella di riuscire a far produrre le soluzioni custom che avevo pensato per gli spazi.

3. Chanel Headquarter

In seguito hanno iniziato ad arrivare le prime chiamate internazionale, come quella per il lighting dell’Euro American Financial District – due torri gemelle in Cina, lo scorso anno ho sondato il mercato a Londra e attualmente sto espandendo il raggio d’azione dello studio nelle maggiori città australiane come Brisbane e Melbourne. All’interno di Light it Design mi piace continuare ad avere un occhio su tutto, dalla progettazione al marketing; con me collaborano dei lighting designer, in città e anche all’estero, ad esempio ho una collaboratrice di vecchia data in Thailandia. Al momento sto cercando nuovi professionisti e viaggiando molto per creare nuovi contatti».

4. Duty Free Aeroporto di Sydney

Tra i progetti di Light it Design ci sono le sedi a Sydney di grandi marchi internazionali. Quanto la luce è legata alla brand identity? Come si progetta la luce per uno spazio di lavoro?

«La luce è strettamente connessa alla brand identity. Nel progetto degli HQ Chanel l’approccio è stato minimalista, le sorgenti luminose sono praticamente invisibili, il soffitto è libero, ha un legame diretto con il fashion e l’eleganza essenziale della Maison.

5. Chanel Headquarter

Per Google abbiamo illuminato una sede di ben cinque piani, con aree funzionali molto diverse tra loro – ingresso, palestra, una food court, salette di concentrazione, uffici open space – e abbiamo potuto puntare maggiormente sull’eclettismo. I linguaggi sono differenti in ogni area, soprattutto abbiamo potuto applicare trovate giocose, come riprendere il linguaggio binario dei computer nella posizione dei pannelli luminosi del soffitto, una sorta di messaggio nascosto o Easter egg architetturale che solo i più attenti possono cogliere. A prescindere dagli standard australiani e dai valori di illuminazione minimi da mantenere, va sottolineato che il modo in cui approcciamo gli ambienti di lavoro è drasticamente cambiato negli ultimi anni. Il massiccio ricorso allo smart working e l’attuale desiderio delle compagnie di richiamare i dipendenti in ufficio si riflette nello studio di soluzioni di illuminazione più vicine a quelle domestiche, per far sentire le persone a proprio agio. Non ci sono solo apparecchi tecnici, ma anche lampade più decorative da terra o da tavolo.

6. Chanel Headquarter

Nel recente progetto per Fraser Properties addirittura non abbiamo messo apparecchi a soffitto! Spesso, soprattutto nelle aree comuni, si programmano scenari luminosi differenti, che i tenant possono accendere per occasioni speciali, eventi o conferenze; nelle zone in cui le persone si ritrovano trovo interessante utilizzare low label lighting, ovvero ledstrip incassate nel pavimento o sotto le sedute, e c’è una grande attenzione alla biofilia e all’illuminazione del verde».

7. Fraser Properties

Ponti, aeroporti, infrastrutture: quanto è importante il lighting?

«Dal punto di vista estetico la luce gioca un ruolo fondamentale nelle le grandi opere, perché è in grado di cambiarne anche drasticamente l’aspetto. Impianti RGBW consentono, per esempio, di ridisegnare le architetture attraverso il colore o la temperatura della luce. Anche negli interni. Ad esempio, nel Duty Free dell’aeroporto di Sydney c’è una zona con un grande lucernario e un’altra che non ha aperture sull’esterno: abbiamo quindi dovuto pensare a un’illuminazione che fosse equilibrata, ma anche a un sistema di controllo che “compensasse” la mancanza di luce naturale nelle giornate di brutto tempo. Un’altra sfida è stata quella di illuminare correttamente tutte le merci in vendita, che vanno dalla cosmetica al tessile al food, e mantenere i corretti valori che garantiscono la sicurezza delle persone».

8. Duty Free Aeroporto di Sydney

Tra gli ultimi progetti dello studio c’è Ovolo Hotel di Sydney: quali sono i tratti distintivi del lighting e le buone pratiche per la luce nell’hospitality?

«La storia di questo hotel è davvero curiosa. Si trova in un grandissimo edificio considerato patrimonio culturale dell’Australia, una struttura in cui arrivavano via nave gli immigrati negli Anni ’50 che è stata convertita in albergo e residenze venti anni più tardi. La nuova proprietà Ovolo desiderava riportare a una scala più umana l’edificio, per cui nell’open space sono stati inseriti dei pods e padiglioni, collegati principalmente dalla luce. La luce architetturale e funzionale è nascosta, gli elementi luminosi decorativi sono invece lasciati a vista, su tutti dei lampadari industriali vintage equipaggiati con lampade Led a filamento per richiamare la “vecchia” tecnologia. In ambito hospitality gli impianti devono essere sicuramente dimmerabili, affinché la luce si adatti ai vari momenti della giornata; è importante anche la programmazione, per accendere o spegnere i punti luce in maniera predefinita. L’illuminazione deve sempre dialogare correttamente con il progetto di interior design. L’atmosfera è fondamentale in un hotel, se l’ambiente è caldo, con tessuti, legni e colori che abbracciano lo spettro dei rossi e degli arancioni anche la temperatura colore delle lampade deve essere calda attorno ai 3000K. Viceversa se nel fit-out c’è cemento grezzo e metallo è meglio una luce un po’ più fredda, che fa risaltare meglio la matericità di queste superfici».

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