Le estetiche al neon, il trend visivo del cinema contemporaneo

Il neon e il cinema: un connubio creativo vincente

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Gas luminoso colorato inserito all’interno di un tubo di vetro o di metallo, storicamente il neon è stato allo stesso tempo medium pubblicitario, elemento architettonico e materiale di design. Ha definito l’identità delle metropoli urbane sin dalla sua prima comparsa nel 1912 a Parigi, diventando uno dei simboli della modernità nell’immaginario collettivo. Successivamente, il neon ha iniziato ad essere utilizzato come strumento per la realizzazione di opere d’arte e, allo stesso tempo, come oggetto di design. Già nel 1939 le fotografie di Chicago di Moholy-Nagy raffigurarono le luci al neon come caratterizzanti dell’orizzonte visivo della città.

Oggi, le estetiche al neon sono una tendenza formale del cinema moderno e, soprattutto, contemporaneo. David Lynch, Wong Kar-wai, Harmony Korine, ma anche Gaspar Noé e Paul Thomas Anderson sono tutti registi che hanno dato vita a immaginari notturni in cui la luce, obbligatoriamente colorata, è protagonista. In pieno contrasto con l’elemento diegetico che li accomuna, ovvero la rappresentazione della notte, del buio, delle tenebre. Nelle estetiche al neon è presente una tendenza a privilegiare ambientazioni notturne, o, in altro modo, a rendere l’oscurità protagonista. In questi casi, le poche luci presenti vengono valorizzate al massimo. All’interno di queste “notti digitali” le luci artificiali assumono un ruolo centrale nella costruzione dell’immagine, andando ad influire sul tono del film e sulla costruzione di un immaginario.

Estetiche al neon, gli esordi

Le estetiche al neon, tuttavia, non sono solo un appannaggio del cinema contemporaneo, in quanto rappresentano una tendenza visiva già presente nel periodo precedente alla rivoluzione digitale; nel cinema moderno alcuni registi si erano già indirizzati verso la costruzione di una messa in scena in cui i colori permeavano fortemente la scenografia. 

1. Suspiria - Dario Argento, 1977

Un esempio è Dario Argento, che nel 1977 con Suspiria si pone di fatto come un precursore di un uso del colore nel cinema “al neon”. Suspiria è un film di genere horror che vede ripetuto un forte utilizzo dei colori rosso e blu nelle proprie scene, per dare un’aura fantastica e mistica al luogo in cui è ambientata la storia: una scuola di ballo in cui la protagonista, invitata a prendere parte alla prestigiosa scuola, viene a contatto con l’anima esoterica di quel luogo.

La fase fondamentale per tracciare l’origine delle estetiche al neon risiede proprio nel passaggio da cinema analogico a cinema digitale, e in particolar modo nella rappresentazione della luce e del colore tra essi. 

La sfida tecnica della rappresentazione del colore

Un breve excursus tecnico sui modi di produzione delle immagini è necessario. In tempi analogici, il controllo del colore era un’operazione da compiere prevalentemente durante le riprese. Aggiustare il colore durante la fase di post-produzione era una sfida logistica non semplice, in quanto per incidere sul colore di una singola scena era indispensabile andare ad agire su tutta la scala RGB della stessa. Il digitale ha dato la possibilità di esaltare un singolo colore sugli altri, e, di conseguenza, renderlo più o meno luminoso, più o meno saturo.

Un altro aspetto è che appartiene alle tecnologie digitali è il dettaglio. All’interno di una scena buia può essere catturato con maggiore facilità, e le vaste possibilità di post-produzione permettono di aumentare maggiormente l’intensità luminosa e la polarizzazione della luce, contribuendo alla creazione di un’immagine opaca in cui il singolo pixel viene sensibilmente curato, permettendo di poter vedere un “di più” rispetto ad un’immagine analogica. 

2. Suspiria - Dario Argento, 1977

Le possibilità di manipolazione del colore date dal digitale quindi, unite alle nuove tendenze di rappresentazione della notte, hanno portato ad immagini in cui il soggetto e lo sfondo sono quasi indistinguibili, quando sottoposti a luci colorate dal forte impatto antinaturalistico. Inoltre, la maggiore risoluzione del digitale, unita alle più avanzate possibilità di ripresa in assenza di luce, consente di creare delle immagini in notturno molto più aderenti al reale di quanto non siano mai state. La tendenza delle estetiche al neon, quindi, è iniziata da prima del passaggio all’immagine digitale, ma è grazie ad essa che ha vissuto il proprio periodo d’oro non ancora giunto al termine. Va notato come le immagini che costituiscono questi film siano visivamente molto simili l’una all’altra anche quando la distanza temporale tra un film e l’altro è molto ampia: ciò che le accomuna è sempre il modo in cui il colore assume un vero e proprio status di manipolatore delle emozioni

Le estetiche al neon nel cinema contemporaneo

Un regista che è un vero e proprio promotore di queste estetiche è sicuramente Nicolas Winding Refn, che infatti non ha mai nascosto la sua passione per il cinema di Dario Argento. Con il suo film The Neon Demon (2016) ha utilizzato colore in maniera fortemente antinaturalistica, facendogli assumere anche una valenza simbolica per raccontare una storia di fashion-horror ambientata a Los Angeles. Il rosso e il blu in questo film diventano dei veicoli di emozioni e intensità, simboleggiando il passaggio che segna la protagonista nella storia. Semioticamente, il passaggio da blu a rosso rappresenta il contrasto tra quiete e movimento, tra sicurezza e pericolo. Qui Refn esaspera entrambi, facendoli diventare veicolo di intensità filmica.

Only God Forgives - Nicolas Winding Refn, 2013
3. Only God Forgives - Nicolas Winding Refn, 2013

Un altro regista emblematico nella messa in scena “al neon” è sicuramente Gaspar Noé; nel cinema del regista francese l’estetica al neon viene utilizzata per creare uno spettacolo che si impone come uno choc visivo per lo spettatore, che diventa oggetto di una continua raffica di luci intermittenti, colori brillanti, piani-sequenza ambiziosi. Della sua produzione è stato sottolineato più volte il carattere immersivo, che mira a coinvolgere lo spettatore all’interno di un’esperienza di visione che diventi fisica. Sono tutti ottimi esempi i suoi film Enter The Void (2009), Irreversible (2002) e Love (2015). Spesso girati in soggettiva o semi-soggettiva, trasportano lo spettatore in un’esperienza in prima persona, rigorosamente ambientata in notturno, sia interno che esterno. 

4. Enter the Void - Gaspar Noé, 2009

Nel nuovo millennio, quindi, si è assistito ad una vera e propria proliferazione delle estetiche al neon, in particolare dopo il 2010. Possiamo trovarla nel film di fantascienza Beyond the Black Rainbow (Panos Cosmatos, 2013), così come nel musical di grande successo La La Land (Damien Chazelle, 2016). Nel film di spionaggio della serie di 007 Skyfall, (Sam Mendes, 2012), anch’esso ambientato in una città asiatica, Shangai. In Inherent Vice (Paul Thomas Anderson, 2014) una Los Angeles sfavillante di luci fa dà sfondo ad un racconto noir tratto dal caleidoscopico romanzo di Thomas Pynchon, e il neon viene usato come mezzo per descrivere visivamente la città californiana di quegli anni, così come nel più recente Once Upon a Time in…Hollywood (2019) dove Quentin Tarantino, raccontando una storia ambientata nella grande macchina dei sogni, in una delle ultime scene film fa un focus montando in successione una serie di inquadrature sulle insegne al neon dei cinema della città che si accendono, ad indicare il risveglio di una vita notturna. 

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