Classe 1977, Brian Sironi ha avuto chiaro da sempre la carriera che avrebbe intrapreso. Per questo si è laureato in Disegno Industriale al Politecnico di Milano ha proseguito la sua formazione negli Stati Uniti; al suo ritorno in Italia, ha fondato lo Studio Brian Sironi. Quando disegna persegue la forma più pura, concentrandosi sulla connessione fisica (ma non solo) tra oggetto e utente, tra forma e funzione. Vincitore dell’ambito premio Compasso d’Oro nel 2011 con Elica di Martinelli Luce, ancora oggi considerata una lampada “di rottura” per il suo aspetto futuristico e per il suo funzionamento senza interruttore, continua a lavorare provando a introdurre piccole-grandi innovazioni che rendono le case e le quotidianità più belle e confortevoli.
Sei nato in Brianza, culla del saper fare manuale. C’è un legame tra il mondo artigiano e il tuo modo di progettare?
«Ho respirato il clima delle imprese artigiane sin da quando ero bambino, ognuno in Brianza ha almeno un parente che fa parte della filiera artigiana. L’approccio artigianale e manuale con il quale ancora oggi progetto si esprime nella realizzazione del prototipo il prima possibile: sviluppo modelli in diverse fasi e questo mi aiuta ad entrare in contatto con la materia delle cose, a pensare letteralmente con le mani, applicando modifiche e aggiustamenti sui prototipi stessi.
Ho frequentato e frequento tuttora il mondo delle falegnamerie brianzole: di qui il mio amore per il legno, che ritengo il “materiale principe”, con qualità eccezionali sia di lavorazione che di resa. Le aziende artigiane della Brianza sono profondamente interconnesse, per questo si parla spesso di “sistema Brianza.” Ho avuto la possibilità di osservare da vicino questo mondo, di capirne le logiche e di vedere applicato una sorta di pensiero sistemico che rassicura il designer. Sai per certo che qualcuno là fuori si impegnerà e spesso riuscirà a risolvere il tuo problema».
Come nasce una lampada e quali sono i fattori da considerare per disegnarla?
«Spesso i miei progetti nascono da un principio di design empatico: penso prima agli utenti, alla loro vita quotidiana, alle loro abitudini, riti e gestualità e anche le lampade seguono questo processo. Elica è nata da una riflessione sul gesto di accensione e Apollo è stato pensato per risolvere un problema specifico che avevo incontrato nella mia attività di interior designer, ovvero la difficoltà a illuminare la nicchia della doccia. Quindi nella progettazione di una lampada il contesto d’uso è fondamentale, perché da qui poi si genera un nuova routine che caratterizza la vita di ogni giorno dell’utente. Altro elemento fondamentale è la tecnologia, un fattore che influenza la progettazione sin dal principio e che ne indirizza tutto il processo, contribuendo a definire forme, colori e prestazioni della lampada stessa».
Quanto la tecnologia ha cambiato il mondo dei prodotti per l’illuminazione?
«Nel mondo dell’illuminazione è avvenuta una rivoluzione grazie all’introduzione della tecnologia LED: per capirne la portata, possiamo fare un paragone con l’avvento della gommapiuma nel mondo degli imbottiti, parliamo di una vera e propria rivoluzione copernicana, che ha cambiato per sempre il modo di progettare e sviluppare i prodotti per l’illuminazione. Attraverso la miniaturizzazione della fonte luminosa sono nate nuove possibilità di proporzioni, forme e dimensioni che non si sarebbero potute concepire prima, ma soprattutto ha aperto al mondo dell’elettronica, fornendo la possibilità di creare oggetti “smart” e connessi dove l’interazione fisica con l’oggetto stesso potrebbe anche non esserci più. I LED hanno dispiegato una grande varietà di opzioni progettuali, infinite combinazioni che stiamo continuando ad esplorare e che stanno contribuendo a popolare una nuova generazione di prodotti per l’illuminazione.»
La lampada Elica di Martinelli Luce è stato l’oggetto che ti ha consacrato al successo con il Compasso d’Oro. Come è nata e quali sono le sue caratteristiche di “rottura”?
«Elica è nata dall’osservazione delle abitudini delle persone, da una riflessione su un gesto semplice come l’accensione di una lampada. Nel 2009, quando è stata presentata, pochissime lampade ornamentali erano a LED, ma la sua caratteristica di rottura è stata quella di eliminare l’interruttore, o meglio, pensare l’interruttore inglobato nel braccio luminoso della lampada stessa. Muovendo il braccio la lampada si accende e si spegne: ho introdotto una gestualità differente dallo schiacciare un interruttore, dal classico “push the button”; il mio pensiero progettuale spinge verso la riduzione e la semplicità, per cui eliminare l’interruttore è stato un atto necessario, un obiettivo perseguito sin dall’inizio. Così Elica si è “ridotta” a due segni grafici, un cono come base e una linea orizzontale come braccio: sono stato molto onorato nel veder abbinata Elica alla lampada Atollo di Vico Magistretti nella mostra “Uno a Uno” curata da Beppe Finessi presso l’ADI Design Museum nel 2021. Le due lampade infatti sono state “accoppiate” in virtù della loro purezza formale, della loro semplicità, pur essendo lontane nel tempo e differenti per resa luminosa e tecnologia».
Tra i tuoi oggetti ci sono anche esempi di integrazione inedita tra funzioni, penso ad Apollo…
«Apollo è nato dall’esigenza di illuminare la nicchia della doccia e l’integrazione di funzioni è il risultato diretto di un’osservazione contestuale: studiare la vita delle persone, capire i loro bisogni, fare empatia. Questo mi ha portato spesso a integrare funzioni inedite come strategia di semplificazione della vita quotidiana e di conseguenza a creare dei nuovi “archetipi ibridi”, come il soffione per la doccia che è anche una fonte luminosa e un po’ come il braccio di Elica che è anche l’interruttore oltre che sorgente di luce. Cerco di applicare questa strategia di integrazione non in maniera artificiosa ma solo quando emerge dal contesto, ma credo che non sia un caso che i miei prodotti più riusciti abbiano questa caratteristica, che sento distintiva del mio pensiero progettuale. Mi piace menzionare anche il progetto Flow, si tratta di un miscelatore femmina dove l’acqua sgorga direttamente dal corpo stesso del miscelatore e non attraverso una parte aggettante: unico segno grafico che racchiude tutte le parti/funzioni: maniglia-parte aggettante-corpo».
Ci sono secondo te altri oggetti/complementi che potrebbero combinare sorprendentemente la loro funzione con la luce?
«Oggi abbiamo tutti in tasca una luce: è la torcia dello smartphone, innovazione che è stata possibile grazie ai processi di miniaturizzazione che citavo in precedenza. Le possibilità sono infinite, la componente luminosa può essere aggiunta a oggetti di ogni tipo, ad una maniglia per esempio, a utensili vari, a indumenti e ad ogni altro prodotto che si sperimenti in un contesto d’uso emergente».
Su cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Il futuro immaginato da un designer è sempre pieno di nuovi progetti, in questo momento storico si fa un po’ più fatica a vederli realizzati e a trovare il momento di incontro giusto con le imprese, ma la spinta a migliorare la vita della persone rimane il motore più grande per costruire un futuro sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale».